Ingegneria Aerospaziale

Sistemi di propulsione spaziale: l’energia nucleare

Nell’ultimo articolo sui mezzi di propulsione spaziale abbiamo parlato delle vele, ideali per trasportare piccoli oggetti senza l’utilizzo di un motore montato a bordo. Nella lettura che segue introdurremo alcuni metodi di propulsione che coinvolgono l’energia nucleare.

Piccolo ripasso: fissione e fusione nucleare

I protagonisti di una reazione di fissione nucleare sono sostanzialmente due, il neutrone e una particella di un elemento chimico pesante, ovvero con un alto numero atomico. Solitamente si utilizzano atomi di uranio-235,  ma sono usati anche gli isotopi del torio e del plutonio, ovvero torio-232 e plutonio-239. La caratteristica fondamentale di questi isotopi è quella di appartenere ad una categoria di materiale nota come fissile, cioè capace di sostenere una reazione a catena. Difatti, una fissione nucleare prevede l’urto violento tra un neutrone e uno di questi isotopi, che porta alla produzione di un altro elemento chimico e di almeno due neutroni. Questi ultimi due neutroni possono innescare a loro volta altre reazioni di fissione, portando alla sopracitata reazione a catena. La reazione non avviene sempre, ma è necessario che si raggiunga una massa minima, o critica, affinchè la reazione possa autosostenersi.

La fusione nucleare prevede che due particelle, solitamente degli isotopi dell’idrogeno 0 dell’elio, si fondino tra di loro per produrre un elemento più pesante e liberare ancora energia. Realizzare un processo di fusione prevede che gli atomi si trovino allo stato di plasma, ovvero ad una temperatura di svariati milioni di kelvin e ad un’altissima densità. Per ottenere tali condizioni, è necessario confinare il plasma in una certa regione, ottenibile tramite un forte campo magnetico o per confinamento inerziale (il combustibile è trattenuto dalla sua stessa inerzia). Nel caso di confinamento inerziale, si usano fasci ad alta energia che bombardano piccole sferette di deuterio e trizio- isotopo dell’idrogeno con tre neutroni. È di particolare interesse la fusione pulita, ovvero la fusione di un atomo di deuterio- isotopo dell’idrogeno con due neutroni-, con uno di elio-3. Purtroppo la sua applicazione pratica è frenata dalla scarsa abbondanza dell’elio-3 sulla superficie terrestre.

Schema esemplificativo di una reazione di fusione nucleare. La radiazione “uscente” è l’energia liberata e raccolta

La produzione di energia libera è strettamente legata alla conservazione delle masse tra prima e dopo le reazioni. Si nota che le masse dei reagenti e dei prodotti non coincidono, quindi se ne deduce che la parte perduta in massa si è trasformata in energia libera,  raccolta e tramutata in forme di energia più facilmente gestibili.

Nell’ambito di missioni spaziali di lunga durata, l’utilizzo dell’energia nucleare risolverebbe diversi problemi, tra cui la produzione di grandi quantitativi di energia a fronte di piccole quantità di combustibile fissile, e la durata di una missione interstellare. Si stima che le alte velocità raggiungibili da una navicella propulsa ad energia nucleare siano teoricamente sufficienti per inaugurare missioni verso sistemi solari propinqui. Nonostante i grossi vantaggi dal punto di vista energetico, alcuni progetti di propulsione nucleare sono di difficile o di impossibile costruzione, ma restano sfide tecnologiche ancora aperte e delle quali si potrà avere soluzione pratica nei prossimi decenni. Rimandiamo all’articolo sulla fusione nucleare per approfondimenti.

Propulsione ad impulsi

Bombe a fissione nucleare

Questo metodo prevede l’utilizzo di bombe nucleari e di dischi di propellente solido, insieme ad un elemento strutturale, collegato alla navicella, noto come pusher plate. Al momento della detonazione in una regione posteriore alla navicella, i dischi di propellente vengono tramutati in plasma proiettato ad alta velocità verso la navicella. Il pusher plate, oltre a proteggere la navicella dal plasma, raccoglie la quantità di moto comunicata dall’esplosione in forma di impulso specifico e accelera la navicella con un’elevata spinta.

Schema funzionale della propulsione con bombe a fissione nucleare. Si distinguono la posizione dell’ordigno rispetto alla navicella, il pusher plate, gli assorbitori di shock meccanici, e gli altri elementi strutturali della navicella

Nel successivo montaggio facente riferimento al progetto Orion degli anni ’50/’60, potrete apprezzare la messa in atto della propulsione di una navicella che monta a bordo il pusher plate, connesso strutturalmente tramite ammortizzatori di shock meccanici.

I materiali che compongono i dischi di propellente devono assorbire bene i neutroni originati dalla detonazione e avere una massa contenuta. Tale condizione permette alle particelle di viaggiare a velocità elevate e comunicare maggiori quantità di moto al pusher plate.

Le proprietà fisiche e geometriche del pusher plate sono state ideate al fine di assorbire al meglio l’urto del plasma e resistere allo sforzo fisico e termico di tale urto. Nell’ambito del progetto Orion, si pensò di usare un pusher plate di forma emisferica, che intercettasse opportunamente una plasma ad una velocità compresa tra i 750 km/s e i 15.000 km/s, e alla temperatura dell’ordine di 10^6 kelvin . Per quel che concerne il materiale, si pensò di sfruttare l’acciaio o l’alluminio. I risultati sperimentali di quarant’anni di ricerca permisero di optare per strutture in carbonio o in materiali refrattari che mostrassero forte resistenza all’ablazione.

 

Microbombe a fusione nucleare

Questo sistema è fondamentalmente uguale al precedente nell’esecuzione, ma ne differisce nella tipologia di reazione nucleare e in altri piccoli dettagli. In primo luogo, una sorgente a bordo della navicella proietta un intenso fascio laser verso il bersaglio, avviando la fase di ignizione. Successivamente, la fusione trasforma il propellente in plasma, che viene proiettato in direzione del pusher plate.

Schema di propulsone a micrrobombe a fusione nucleare. Risalta il fascio laser diretto verso la microbomba, che detona e proietta il propellente verso il pusher plate

Confrontando i due modelli propulsivi, l’uso delle microbombe a fusione nucleare risulta più efficace rispetto alle bombe a fissione. Infatti, non sussiste il limite inferiore della massa critica, ovvero la fusione può avvenire indipendentemente dalla quantità dei reagenti.

Propulsione nucleare senza propellente aggiunto

La peculiarità di questo sistema è la mancanza di un propellente solido attivato dalla reazione nucleare. In realtà, il propellente è costituito dai sottoprodotti della reazione nucleare. Si distinguono tre tipi di propulsione in base al sottoprodotto:

  • Emissione di prodotti di fissione. La fissione avviene in camere di reazione a bordo della navicella. Le particelle ionizzate prodotte dalla fissione vengono direzionate tramite un campo magnetico verso l’ugello di scarico;
  • Emissione di prodotti di fusione. La fusione avviene sempre all’interno di apposite camere di reazione, utilizzando delle microbombe investite da laser. Il campo magnetico accelera e reindirizza il plasma verso l’ugello, ottenendo così la spinta;
  • Emissione di fotoni. Secondo questo metodo, si sfrutta la legge del corpo nero per riscaldare un disco che funge da emettitore di fotoni quando raggiunge temperature molto alte. La reazione nucleare, solitamente fissione, in questo caso serve solo a portare il disco alle temperature operative.

 

Propulsione nucleare con propellente aggiunto

Stavolta, al flusso di sottoprodotti della reazione nucleare, si aggiunge un flusso di propellente, solitamente l’idrogeno. Questo propellente assorbe parte dell’energia termica proveniente dalla camera di reazione, così da raggiungere alte temperature ed espandere attraverso l’ugello di scarico.

Se la reazione coinvolta è di fissione, il propellente starà a contatto con il nocciolo del reattore, attraversando speciali condotti che lo espongano al calore emanato dalla reazione.

Se si impiega la fusione, il sistema propulsivo è progettato con una camera di reazione a confinamento magnetico, all’interno del quale si muove il plasma. In questo scenario avverrebbero due azioni contemporanee. Da un lato si provvede a sostenere la fusione con l’immissione continua di deuterio e di elio-3. Simultaneamente, il plasma viene messo a contatto con l’idrogeno, il quale si riscalda ed espande nell’ugello, accelerando e creando la spinta.

Fonti

/propulsione spaziale/propulsione spaziale/propulsione spaziale/

Antonio Ricci
Studente di Ingegneria Aerospaziale, appassionato del mondo astronautico, di arte contemporanea e di musica lo-fi.

You may also like

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *