Ingegneria Aerospaziale

Metodi di rilevazione degli esopianeti

L’esistenza degli esopianeti è stata oggetto di speculazioni e di argomentazioni arditissime, sin dall’antichità fino ai giorni nostri. Nel 70 a.C. Lucrezio avanzava l’ipotesi di vita su altri mondi, «fatta di diverse razze di uomini e specie di fiere»– a tal proposito, abbiamo parlato qui dell’abitabilità dei pianeti dentro e fuori il Sistema Solare. Nel XVI° secolo, Giordano Bruno proponeva nuovamente l’esistenza di infiniti mondi e di infinite stelle. Il periodo è quello della Rivoluzione scientifica, a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, che vede altri protagonisti come Copernico, Keplero, Newton, e Galileo, nella messa in discussione del modello tolemaico geocentrista di eredità aristotelica.

Quattrocento anni dopo, non solo continuiamo ad ottenere informazioni essenziali sul Sistema Solare, ma ci accingiamo anche a scoprire quegli stessi mondi tanto pensati, attorno ad altre stelle della nostra galassia. Per un totale di 4717 esopianeti scoperti (numero aggiornato al 24 aprile 2020), ripercorriamo alcuni tra i metodi moderni sviluppati per ricercarli e identificarli.

 

Tecniche di rilevamento diretto

L’ideale sarebbe poter osservare direttamente un esopianeta, come facilmente si può fare con i corpi del Sistema Solare. Sfortunatamente, l’eccessiva distanza porta la luce riflessa dall’esopianeta a disperdersi e a scomparire sotto altre fonti di luce ben più potenti, risultando di fatto invisibile. Ciò nonostante, l’uso di sistemi di ottica adattiva ha permesso di superare questo problema, con interessanti risultati.

Sistema β Pictoris al coronografo. Crediti: ESO/A.-M Lagrange et al.

Il metodo dell’imaging diretto è risultato efficace per 146 oggetti extrasolari. La prima rilevazione diretta avvenne nel 2008 per opera dell’astronoma Anne-Marie Lagrange e dei colleghi del Very Large Telescope, i quali osservarono un pianeta supergioviano nella costellazione del Pittore, identificandolo con il nome di β Pictoris b.

Uso del coronografo

Il coronografo è uno strumento essenziale per individuare degli eventuali pianeti attorno ad una stella. Nato negli anni ’30 per osservare le protuberanze della corona solare, nelle sue varianti moderne è capace di escludere la luce proveniente da una fonte precisa, in modo da poter ricevere solo la luce riflessa da altri oggetti presenti nell’obiettivo. In altre parole, permette di rilevare gli esopianeti vicini al loro sole oscurando il sole stesso.

Quattro giganti gassosi intorno alla stella HR 8799. Crediti: Jason Wang / Christian Marois.

Tecniche di rilevamento indiretto

I metodi indiretti mirano ad individuare gli esopianeti grazie ad effetti secondari riconducibili alla loro presenza. Tali effetti possono essere perturbazioni gravitazionali oppure disturbi nella propagazione dei flussi luminosi.

Velocità radiale

Per la 1ª legge di Keplero sappiamo che ogni pianeta orbita attorno alla sua stella seguendo un’orbita ellittica, in cui la stella occupa uno dei due fuochi. In realtà, la formulazione di Keplero non poteva tener conto di un dettaglio importante, cioè che la stella ed il pianeta orbitassero entrambi attorno ad un comune centro di massa, ovvero il punto sul quale si equilibrano tutte le forze applicate. Consci di questa importante informazione, possiamo immaginare la stella non più fissa sul fuoco di un’ellisse, ma in moto attorno al centro di massa comune.

Tale centro di massa si trova sulla retta che congiunge il centro di massa della stella con quello del pianeta. Dato che la stella detiene sicuramente molta più massa, il centro si troverà più spostato verso la stella, stando addirittura al suo interno.

Per l’enorme vicinanza, la stella non ha un vero e proprio moto orbitale attorno ad esso, ma qualcosa di più simile ad un’oscillazione.

Tale fenomeno è studiabile attraverso l’analisi spettroscopica della stella. Infatti, studiando le linee di spettro, succede che queste si spostino verso il blu quando la stella oscilla nella nostra direzione, causando il blueshifting. Quando la stella oscilla in direzione opposta, quindi mentre si allontana da noi, le linee di spettro si spostano verso il rosso, causando un redshifting.

Questo fenomeno è noto come effetto Doppler, e se ne ha una rapida comprensione ascoltando il clacson o le sirene di un’ambulanza mentre questa si avvicina e si allontana da noi. Gran parte degli esopianeti scoperti tramite velocità radiale- poco più di 900– detengono una massa paragonabile a quella di Giove e si localizzano su orbite ravvicinate alla loro stella.

Astrometria

Oltre a causare l’effetto Doppler sullo spettro, l’oscillazione della stella attorno al centro di massa causa anche un cambiamento della sua posizione apparente nel cielo. L’astrometria intende misurare proprio questo cambiamento, ma è un metodo estremamente difficile da applicare. Difatti, alcune stelle oscillano talmente poco da rendere difficile qualsiasi misurazione diretta, specialmente nel rilevamento di pianeti molto piccoli.

Affinché si possa tracciare un cambiamento sostanziale nella posizione relativa, è necessario scattare diverse foto di un settore di cielo che includa la stella osservata, insieme ad altre stelle vicine. Da ogni foto si ricavano e si confrontano le distanze tra la stella di nostro interesse e le altre presenti. Se l’obiettivo ha cambiato la sua posizione relativa, allora questa avrà oscillato attorno al centro di massa, di conseguenza è possibile che la stella ospiti uno o più esopianeti.

Il metodo necessita di strumenti ottici notevolmente precisi, ed è difficile eseguire una misura dettagliata per via delle aberrazioni ottiche procurate dall’atmosfera terrestre, o per via di possibili difetti nella strumentazione. Nonostante la difficoltà insita nel metodo, sono stati individuati ben 14 esopianeti.

Metodo del transito

Questo metodo si basa principalmente sullo studio della luce proveniente dalla stella osservata. Analizzando il flusso luminoso in un certo intervallo di tempo, si notano delle periodiche diminuzioni di luce proveniente dalla stella. Tali disturbi sono da ricondurre al transito, tra l’osservatore e la stella, di uno o più pianeti, i quali bloccano la luce per il tempo totale di transito.

La redazione di una curva di luce– tale è il nome del grafico associato allo studio del flusso luminoso- si basa sull’individuazione di quattro punti fondamentali, detti ‘contatti‘. Al punto 1, il pianeta comincia a bloccare parte della luce emessa, diminuendo gradualmente il flusso di luce. Raggiunto tale valore al punto 2, il pianeta sta ora bloccando quanta più luce possibile, creando una sorta di plateau sulla curva. Appena si porta al punto 3, la curva di luce torna a salire, stando ad indicare che il pianeta sta proseguendo la sua orbita dietro la stella, bloccando gradualmente meno luce. Al punto 4, il pianeta non sta più bloccando la luce proveniente dalla stella.

Se il fenomeno si osserva di nuovo, sarà possibile attestare la presenza di un esopianeta, come è stato possibile per quasi 3500 esopianeti.

 

La quantità di luce bloccata dipende strettamente dalla circonferenza massima tracciabile sul pianeta, la quale è a sua volta dipendente dal raggio medio. Per un raggio maggiore, quindi, si riscontra un’occultazione maggiore.

Nel caso di più pianeti transitanti durante lo stesso intervallo di tempo, gli effetti di oscuramento parziale di sovrappongono, creando una curva di luce con più punti.

L’unico limite all’uso di questo metodo risiede nel caso sfortunato in cui l’orbita dell’esopianeta sia tale da non portare mai quest’ultimo a transitare tra la stella e l’osservatore.

Transit Timing Variation (TTV)

Questo metodo di rilevazione è più sottile, in quanto vuole determinare l’esistenza di un pianeta a partire dalle perturbazioni gravitazionali indotte sull’orbita di un altro pianeta dello stesso sistema. In un sistema di due soli corpi, il pianeta e la stella orbitano indisturbate attorno al comune centro di massa. Inoltre, in assenza di perturbazioni esterne, il transito dell’esopianeta di fronte alla stella avviene sempre in tempi uguali. Ma in presenza di disturbi di tipo gravitativo, riconducibili alla presenza di altri pianeti, il tempo di transito sarà sempre differente dopo ogni orbita.

Grazie a questo metodo sono stati scoperti 23 esopianeti, molti dei quali durante la missione Kepler.

Gravitational Microlensing

Il Gravitational Microlensing viene impiegato nel particolare caso in cui, dal punto di vista dell’osservatore, una stella si trovi a transitare davanti ad un’altra stella. La stella più lontana è solitamente molto luminosa, mentre quella più vicina è normalmente non visibile dalla Terra. Durante il transito della stella, la sua gravità funge da lente magnificante con la luce proveniente dalla stella lontana. Di fatto, il suo campo gravitazionale piega la luce in arrivo e ci fa credere che la stella lontana sia più grande di quanto realmente sia.  Se tale distorsione è ulteriormente accentuata per piccoli intervalli di tempo, allora questo significa che c’è un pianeta che sta contribuendo all’effetto magnificante. Nel video che segue, potrete notare il grafico in basso a destra, che analizza la quantità di luce deviata nel tempo. Il minuscolo picco è riconducibile all’influenza gravitazionale del pianeta attorno alla stella magnificante.

Il fenomeno è estremamente simile all’effetto ottico di una lente d’ingrandimento, che devìa e focalizza i fasci di luce su un punto preciso. L’uso della microlente gravitazionale ha portato alla scoperta di quasi 150 esopianeti.

 

Fonti

Antonio Ricci
Studente di Ingegneria Aerospaziale, appassionato del mondo astronautico, di arte contemporanea e di musica lo-fi.

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