Astrofisica

Fasce di Van Allen

Le fasce di Van Allen

Scoperte da James Van Allen nell’ambito delle missioni Explorer 1 ed Explorer 3, le fasce di Van Allen identificano delle regioni della magnetosfera terrestre dalla forma toroidale, o “a ciambella”, nelle quali si accumulano ioni e particelle cariche per via dell’interazione con il campo geomagnetico terrestre.

Cerchiamo di capire il modo in cui queste particelle cariche si addensano attorno alla Terra e i motivi per i quali possono causare diversi problemi alla strumentazione e alle persone inviate nello spazio.

 

Dalla teoria alla pratica

Immaginiamo di ridurre il nostro pianeta ad una calamita, ovvero un dipolo magnetico, con i classici polo Nord e polo Sud. Il campo magnetico non è uniforme lungo tutto l’asse della calamita, ma è più intenso alle estremità e più debole verso il centro. Adesso, introduciamo una particella all’interno del campo magnetico in questione. La forza agente sulla particella, nota come forza di Lorentz, imprime un’accelerazione centripeta che tende a curvarne la traiettoria mantenendo invariata la velocità.

Una particella in moto all’interno di questo particolare campo magnetico detiene una velocità scomponibile in due componenti. La prima è una componente assiale, che fa muovere la particella lungo l’asse del dipolo, la seconda, invece, è una componente radiale, che la fa muovere attorno al suddetto asse. La composizione di questi due moti, l’uno rettilineo uniforme e l’altro circolare uniforme, origina il moto elicoidale della particella attorno all’asse del dipolo magnetico.

Moto elicoidale come somma di due componenti di velocità, una radiale e l’altra assiale.

Il moto della particella è soggetto a variazioni nel passo dell’elica e nel raggio di curvatura. Infatti, quando la particella si avvicina in zone dove il campo magnetico è più intenso, sia il raggio sia il passo d’elica si fanno più stretti. Inoltre, al raggiungimento delle estremità del dipolo, la componente assiale della velocità tende ad annullarsi e ad assumere segno opposto, dando luogo ad un’inversione di traiettoria sulla direzione assiale. La componente radiale conserva, invece, lo stesso verso. Con il ripetersi di questa dinamica, la particella si ritrova apparentemente intrappolata in una regione dello spazio attorno al dipolo magnetico, costretta a “sostare” nella sua traiettoria fino ad eventualmente uscirne.

Possiamo estendere  la stessa dinamica da una ad un numero estremamente elevato di particelle. Data la forte intensità del vento solare, il principale trasportatore di particelle cariche verso la Terra, si stima che in un solo centimetro cubo entro le fasce di Van Allen siano addensate tra le 10.000 e le 100.000 particelle. In seguito a continui urti, queste rilasciano energia sotto forma di radiazioni, che risultano estremamente pericolose per gli oggetti artificiali in transito.

 

Un toroide da competizione

Attorno al nostro pianeta distinguiamo due fasce principali. Nella prima fascia, posta tra 800 e 4.000 chilometri di quota, si addensano protoni ed elettroni derivati da reazioni di decadimento fra le particelle cosmiche e gli strati esterni dell’atmosfera. La seconda fascia, lontana quasi 60.000 chilometri dalla Terra, raccoglie le particelle provenienti dal Sole, prevalentemente elettroni. Anche altri pianeti del nostro Sistema Solare dotati di campo magnetico dimostrano di avere simili fasce, proporzionate ai loro raggi e alla velocità di rotazione.

Struttura delle fasce di Van Allen terrestri. Credits: Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello spazio OAS

Proprio come sulla Terra, anche su Saturno e su Giove sono state individuate delle zone ad alto accumulo di particelle, interpretabili come delle fasce di Van Allen nettamente più ampie. Mercurio, pur avendo un campo magnetico, sembra non sviluppare fasce di Van Allen.

In foto: rappresentazione artistica dell’interazione fra il campo magnetico gioviano e il vento solare. Si distingue una sezione di toroide (in viola) assimilabile ad una fascia di Van Allen. Credits: media.inaf.it.

 

Radiazioni, radiazioni ovunque!

Nonostante la bellezza di eventi come le aurore polari, che scaturiscono direttamente dall’interazione fra le particelle del vento solare e la ionosfera, l’accumulo di particelle cariche nell’alta atmosfera rappresenta un serio rischio in materia di radiazioni. Infatti, le radiazioni possono provocare malfunzionamenti di natura elettrostatica sui circuiti, porre a rischio la salute degli astronauti o pregiudicare l’esecuzione di missioni per lo spazio profondo. Ogni essere umano, sonda o satellite spedito nello spazio viene opportunamente  protetto da fonti di radiazioni esterne. La tutela è necessaria al fine di preservare la salute degli astronauti e garantire il funzionamento delle apparecchiature elettroniche.

Come già abbiamo detto in precedenza, il campo magnetico terrestre non è uniforme su tutta la superficie, anzi è più intenso in prossimità dei poli. In verità, vi è una zona specifica in cui il campo geomagnetico è nettamente più debole rispetto ai valori medi. In questa regione, posta grosso modo sopra il Sudamerica e nota come Anomalia del Sud Atlantico (o SAA), la distanza tra la superficie e la fasce di Van Allen si accorcia sensibilmente. Tutti gli oggetti in orbita sono già esposti ad una rilevante dose di radiazioni, ma quelli che attraversano l’Anomalia sono soggetti a radiazioni mediamente più massicce. Spesso, per motivi di sicurezza, occorre limitare l’attività dei satelliti in orbita geostazionaria che transitano entro la SAA, o addirittura spegnerli del tutto.

Immagine satellitare della SAA.

 

Dalle fasce un aiuto verso la fusione termonucleare controllata

Il principio alla base della formazione fasce di Van Allen viene applicato all’interno dei reattori tokamak. Tali reattori sfruttano dei potenti elettromagneti per produrre un fortissimo campo magnetico, il quale mantiene in sospensione un plasma di particelle a temperature elevate. In questo modo, il plasma non tocca le pareti del reattore e può liberamente accumulare energia tramite scariche di corrente. Si ritiene che il plasma, una volta imbrigliata sufficiente energia, possa innescare il processo di ignizione e quindi generare più energia elettrica di quanta ne serva per sostenere la reazione.

In foto: schematizzazione del reattore tokamak. Il plasma incandescente (in rosso) è mantenuto in rotazione da delle bobine che producono campo magnetico e che incastrano il plasma in fasce di Van Allen artificiali.

 

Fonti

  • P. Mazzoldi, M. Nigro, C. Voci, “Fisica” – Vol. II, Napoli, EdiSES, 1998.
  • media.inaf.it
Antonio Ricci
Studente di Ingegneria Aerospaziale, appassionato del mondo astronautico, di arte contemporanea e di musica lo-fi.

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7 Comments

  1. Bravo, Antonio! Sempre in gamba.

    1. Grazie mille prof. Un abbraccio!

  2. Argomento interessante e ben esposto.

    1. Grazie mille Elisabetta!

  3. buondì. ritieni che le fasce di allen siano insormontabili con le attuali tecnologie di protezione agli astronauti?

    1. Ciao! Personalmente non ho autorità sufficiente per dare una mia opinione autorevole al riguardo, ma ti propongo l’intervento dell’Ingegnere Tiziano Bernard su Il Giornale a proposito delle quantità di radiazioni cui gli astronauti sono soggetti.
      Innanzitutto, l’Ingegnere Bernard spiega che la radiazione non è costante lungo le fasce, ma vi sono zone con maggiore densità di radiazioni e altre con minore densità, una distribuzione studiata con delle missioni spaziali apposite. La radiazione viene misurata in rads/hour, ovvero radiazioni per ora, ed in Gray/secondo, dove 1 Gray corrisponde a 100 rads. Inoltre, si afferma che al di sotto dei 100 rads per un’esposizione di qualche ora, non si riscontrano danni all’organismo (fonte: Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti).
      Assumendo di attraversare interamente tutte le fasce di radiazioni, dalla meno densa alla più densa, l’assorbimento ipotetico di radiazioni è stimato sui 49 rads/hour in esposizione diretta, quindi senza alcuna protezione. Anche se si è ben sotto la soglia di 100 rads/hour, l’esposizione alla radiazione sarebbe di svariate ore, portando quindi a danni significativi all’organismo.
      Anche se una navicella spaziale generica è progettata in modo tale da schermare una buona parte di queste radiazioni, per le missioni al di fuori dell’orbita terrestre si scelgono traiettorie che toccano le fasce il meno possibile, per proteggere non solo gli astronauti ma anche i componenti elettronici. Cosa molto più importante, che sottolinea l’Ingegnere Bernard, è che il livello di rads/hour complessivi misurato durante le missioni Apollo si aggira su numeri dell’ordine delle unità( minimo a 0.18, massimo a 1.14), stando a verificare rischi davvero minimi per la salute dell’equipaggio. Ti rimando direttamente alla tratazione completra dell’Ingegnere Bernard: https://www.ilgiornale.it/news/tecnologia/radiazioni-van-allen-non-problema-1902486.html

    2. Ti ringrazio anche per la domanda, ne ho colto l’occasione per togliermi anch’io una curiosità!

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