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Mercury 13, le tredici donne aspiranti astronaute che non poterono volare nello spazio

Il Programma Mercury, prima ancora del Programma Gemini seguito dal memorabile Apollo che consentì il primo sbarco dell’uomo sulla Luna, fu il primo progetto statunitense a prevedere missioni spaziali con equipaggio umano tra il 1958 e il 1963, realizzato dalla NASA, l’agenzia spaziale istituita proprio in quegli anni, il 1° ottobre 1958, sotto la presidenza di Dwight Eisenhower. Nella corsa allo spazio, gli Stati Uniti volevano avere un posto in prima fila, anche se ciò significava competere in una gara di velocità, oltre che di competenze, con l’Unione Sovietica e cercare di non farsi battere. I primi obiettivi del programma si basavano sulla realizzazione di alcuni punti principali: mandare in orbita attorno alla Terra un veicolo spaziale con equipaggio, indagare sulle capacità di resistenza del pilota nello spazio, ed infine recuperare sia il pilota sia la capsula in modo sicuro. Ogni missione vide coinvolta la capsula Mercury, mentre i razzi (Scout, Redstone e Atlas) cambiavano nel succedersi delle varie missioni. Nonostante tutti gli sforzi e le speranze americane di riscatto, il 12 aprile 1961 il cosmonauta russo Yuri Gagarin divenne in un colpo solo il primo essere umano nello spazio e il primo essere umano a orbitare intorno alla Terra. L’America perse il primo giro di corsa per qualche mese di ritardo. Finalmente dopo tre anni e mezzo di lavoro con simulazioni, accertamenti, collaudi, verifiche e dopo vari slittamenti, la prima missione americana con equipaggio umano, la Mercury-Redstone 3 (MR-3), si svolse il 5 maggio 1961 quando Alan Shepard si fece lanciare nello spazio, raggiungendo un’altitudine di poco più di 187 km sopra la Terra, in un viaggio suborbitale che durò quindici minuti e ventidue secondi, all’interno della capsula che Shepard stesso ribattezzò “Freedom 7”. Shepard faceva parte del cosiddetto Mercury Seven, il gruppo di sette astronauti selezionati dalla NASA per il Programma Mercury.

 

 

Mercury non è stato solo un programma spaziale dei primi anni Sessanta ma è anche la storia di tredici donne pilota aspiranti astronaute, che tramite i loro sacrifici e nonostante le ingiustizie subite, hanno contribuito a pavimentare il percorso delle donne nella NASA, nella conquista di spazi e dello spazio nella sua più universale estensione. Mercury 13 (termine coniato come confronto con il nome dei Mercury Seven) fu anche l’occasione che i vertici della NASA in primo luogo e l’America nel suo complesso si negarono nell’essere il primo Paese a mandare una donna nello spazio, lasciandosi superare nuovamente dall’Unione Sovietica nel 1964, con il lancio di Valentina Vladimirovna Tereškova. Mercury 13 avrebbe potuto rappresentare un propulsore per tutti quei piccoli passi necessari per superare il concetto che le donne non possono fare ciò che fanno gli uomini, e per dirla con una formula nota a molti dell’ambiente: un piccolo passo per una donna, avrebbe rappresentato un grande passo per l’umanità, con un impatto positivo non solo rispetto ai modelli per le generazioni future ma anche per il rafforzamento di prassi e politiche per una maggiore parità di genere, soprattutto in un ambiente come quello scientifico in cui vive e si alimenta un divario innaturale.

 

Geraldyn M. Cobb, Myrtle Cagle, Janet Dietrich, Marion Dietrich, Wally Funk, Sarah Gorelick, Janey Hart, Jean Hixson, Rhea Hurrle, Gene Nora Stumbough, Irene Leverton, Jerri Sloan, Bernice Steadman.

 

 

Tredici donne che avevano solcato i cieli con licenze di pilota commerciale o pilota di linea, ognuna di loro con più di mille ore di esperienza di volo, anche se non in jet o caccia, in quanto le donne ne erano escluse da una legge emanata da Eisenhower. Tra queste donne c’era Geralydn Cobb che nel 1959 era dirigente nell’industria aeronautica e aveva volato per più di diecimila ore nella sua carriera, il doppio di John Glenn quando diventò il primo astronauta americano in orbita. Tredici donne che superarono gli stessi test ed esami fisici della Fase I a cui erano stati sottoposti i colleghi uomini, ad iniziativa del ricercatore William Randolph Lovelace II che aveva predisposto i test medici per la selezione degli astronauti NASA. Alcune donne, tra le quali Jerrie Cobb, Rhea Hurrle e Wally Funk, parteciparono anche alla Fase II della selezione, che prevedeva test di isolamento e valutazioni psicologiche, subendo una battuta d’arresto forzata nella terza fase delle sperimentazioni con attrezzature militari e aerei a reazione a Pensacola in Florida, alla Scuola Navale di Medicina dell’Aviazione, dalle quali furono escluse tramite un telegramma che cancellò i loro test. Tredici donne che continuarono a lottare anche di fronte al fermo della NASA, portando il loro caso al Congresso, nel luglio 1962. Jerrie Cobb e Janey Hart si presentarono alla commissione del Senato e alle udienze di fronte al Comitato speciale per la selezione degli astronauti, cercando di far ripristinare il programma. In risposta, il vicepresidente Lyndon Johnson firmò una famosa lettera in cui dichiarava esplicitamente “Il programma va fermato subito”.

Tredici donne che avevano le caratteristiche per poter essere integrate all’interno del Programma Mercury ma che furono escluse a priori, preferendo non sapere ciò che le donne pilota potevano fare, piuttosto che affrontare le possibilità che una maggiore conoscenza scientifica avrebbe potuto apportare.

 

 

Il documentario “Mercury 13”, uscito su Netflix nel 2018 con la regia di David Sington, affronta la vicenda in modo diretto ma con una nota umana, tramite interviste e conversazioni con alcune pilote del gruppo originario. C’è un momento molto significativo che riassume il percorso di queste aspiranti astronaute in uno sguardo di riscatto. Lo sguardo di Wally Funk, una delle tredici, nel momento in cui osserva il lancio della STS-63 nel 1995, in cui Eileen Collins fu la prima donna a pilotare lo Space Shuttle. Una donna seduta al posto di comando, anche grazie al coraggio e al percorso di tredici donne che non avevano fatto altro che chiedere di prendere parte al futuro della propria nazione nello spazio, senza discriminazioni, con serietà e onestà, e la loro intenzione di affrontare l’ignoto era forte e coraggiosa tanto quanto quella degli uomini.

 

Per approfondimenti

  • Martha Ackmann, Mercury 13: La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio, Springer Science & Business Media, 2011

 

Fonti

  • Margot Lee Shetterly, Il diritto di contare, HarperCollins Italia, 2017
  • Mercury 13, documentario Netflix, regia di David Sington, 2018

 

Fonti fotografie

Blanka Moldvai
D'origine ungherese con sede a Roma ma sempre con la voglia di partire. Studentessa di comunicazione digitale ma sempre in cerca di ispirazione. Amante della lettura e dell'arte in tutte le sue forme.

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