Il reattore a fusione nucleare
La fusione nucleare è considerata una valida opzione per assicurare alle future generazioni una fonte di energia sostenibile, pressoché inesauribile e intrinsecamente sicura. La ricerca scientifica sta tentando di realizzare macchine in grado di far avvenire al loro interno le reazioni di fusione. Nei futuri reattori a fusione l’energia prodotta verrà raccolta e utilizzata per generare elettricità.
Il combustibile nucleare è costituito da nuclei leggeri di carica positiva. Essi devono collidere fra loro per fondersi e formare un nucleo più pesante, con un conseguente rilascio di energia. Un reattore a fusione deve mantenere il combustibile nucleare in condizioni di elevata temperatura (nell’ordine dei 100 milioni di °C) e densità. Queste condizioni servono a favorire le collisioni fra i nuclei e far avvenire un numero sufficientemente alto di reazioni. In queste condizioni il combustibile forma una miscela di nuclei carichi ed elettroni chiamata plasma. Ne consegue quindi l’esigenza di confinare il plasma caldo all’interno del reattore senza che esso venga a contatto con le sue pareti. Le due soluzioni maggiormente perseguite sono:
- il confinamento del plasma tramite forti campi magnetici, che interagiscono con le particelle cariche e le mantengono all’interno di un volume limitato;
- il confinamento inerziale, nel quale una piccola capsula contenente il combustibile viene investita da fasci laser ad altissima potenza, in modo tale da generare il plasma e innescare le reazioni.
Nel proseguo dell’articolo ci soffermeremo sul primo filone di ricerca.
Confinamento magnetico
Le macchine basate sul confinamento magnetico hanno forma toroidale (o più semplicemente a ciambella). Questa geometria è la più vantaggiosa per intrappolare le particelle in un volume finito. I campi magnetici sono generati tramite bobine che circondano la camera di reazione. La forma assunta dai campi magnetici è quella di eliche che si avvolgono intorno alla ciambella che è il plasma. È possibile ottenere questa forma tramite due diversi layout:
- le macchine tokamak, in cui viene a generarsi una corrente nel plasma di particelle cariche; essa genera a sua volta un campo, detto poloidale, che si somma a quello toroidale ottenuto tramite le bobine;
- le macchine stellarator, in cui le bobine esterne sono disegnate in maniera tale da imprimere al campo la forma desiderata.
I tokamak hanno lo svantaggio di operare in maniera discontinua (alternanza di funzionamento e spegnimento) per generare la corrente di plasma. Questo limite non caratterizza gli stellarator, che però hanno performance molto minori. Per questi motivi i tokamak sembrano essere la migliore opzione in vista dei futuri reattori a fusione, e l’avanzamento tecnologico permette di ottenere tempi di confinamento sempre maggiori.
Produzione del trizio
La prima generazione di reattori a fusione utilizzerà la reazione fra un nucleo di deuterio e uno di trizio, per motivi legati ad una maggiore probabilità di collisione nel range delle temperature relativamente più basse e compatibili con le attuali tecnologie.
D + T → 4He + n + 17.6 MeV
L’energia prodotta dalla reazione viene rilasciata sotto forma di energia cinetica e ripartita tra il nucleo 4He (detto anche particella α) e il neutrone n. La particella α è carica positivamente e rimane confinata grazie ai campi magnetici, contribuendo al riscaldamento del plasma. Il neutrone, invece, può sfuggire e va ad urtare le pareti della camera di reazione.
Per quanto riguarda il combustibile, il deuterio è ampiamente disponibile in natura perché presente nell’acqua di mare; al contrario, il trizio è un isotopo radioattivo con un tempo di dimezzamento relativamente breve (12.3 anni). Perciò il trizio deve essere prodotto in qualche maniera e l’idea è di farlo proprio all’interno del reattore. In particolare, un reattore a fusione di prima generazione necessiterà di circa 0.4 kg di trizio per ogni giorno di effettivo funzionamento. Attualmente la soluzione su cui si sta puntando consiste nello sfruttare i neutroni prodotti che, reagendo con il litio, producono nuclei di trizio.
Siccome i neutroni urtano con le pareti della camera, l’idea è quella di rivestire la maggior parte della superficie affacciata al plasma con un componente chiamato mantello triziogeno (o breeding blanket). Il litio sarà contenuto all’interno di esso, mentre il trizio prodotto verrà asportato per essere poi immesso nella camera di reazione.
Smaltimento del calore
L’energia complessivamente prodotta nel reattore deve essere raccolta per poi poter generare energia elettrica. Questa funzione è svolta dai cosiddetti componenti affacciati al plasma, all’interno dei quali scorre un fluido che si riscalda e viene poi inviato all’esterno del reattore. A tal proposito, anche il calore prodotto nel breeding blanket viene raccolto dal fluido refrigerante.
L’energia che giunge sui componenti affacciati al plasma consiste nel flusso di neutroni e particelle cariche che escono dal confinamento e nella radiazione elettromagnetica che viene prodotta dal plasma. Il design e la realizzazione di questi componenti è una delle maggiori sfide tecnologiche della ricerca sulla fusione. I motivi sono essenzialmente due:
- l’entità dei flussi di calore è notevole e può portare al progressivo danneggiamento dei componenti; ad esempio, il flusso che investe il divertore è nello stesso ordine di grandezza di quello che caratterizza la superficie del Sole (decine di MW/m2);
- anche l’interazione di particelle cariche e neutroni con i materiali porta a vari fenomeni di deterioramento; vale la pena citare la radioattivazione dei componenti a causa dell’urto dei neutroni con i nuclei dei materiali utilizzati.
Conclusioni
La fusione nucleare rappresenta sia una soluzione interessante per i vantaggi che questa fonte energetica offre, ma anche una sfida tecnologica ardua e ambiziosa a causa delle difficoltà intrinseche e dei limiti tecnologici attuali. Un esempio è la ricerca riguardante i componenti affacciati al plasma, che risultano essere l’unica vera “scoria radioattiva” prodotta in un reattore a fusione. Dopo la dismissione di un reattore, essi devono quindi essere gestiti e depositati con attenzione a causa della loro radioattività. Inoltre, la loro rottura e conseguente sostituzione porta a tempi di fermo dell’impianto che devono essere evitati per motivi economici. La sfida tecnologica è quella di realizzare componenti affidabili e possibilmente riciclabili dopo un certo periodo. L’obiettivo è infatti rendere un reattore a fusione vantaggioso anche da un punto di vista economico.
Articoli precedenti:
La fusione nucleare: che cos’è e che prospettive può darci?